Dott.MorenoZolghetti
2014-03-06 11:09
Le prime formulazioni per la realizzazione degli zolfanelli prevedevano un contenuto di fosforo bianco che presto le ha rese poco pratiche. Esistono infatti in letteratura casi di avvelenamento a scopo non conservativo proprio per ingestione di capocchie di zolfanelli. Ricordo qui che la dose letale di fosforo bianco, assunto per via orale, è di circa 50 mg. Stando così le cose, si è cercato di sostituire quel fosforo con altri materiali, sufficientemente reattivi, ma non così tossici. Alla primitiva formulazione, che oltre all'elemento citato, conteneva zolfo e clorato di potassio, ne sono state accostate molte altre. Due in particolare hanno avuto un duraturo successo. In primis, i così detti "fiammiferi di sicurezza" che non si accendono se non quando vengano strofinati sull'apposita banda rossa. In effetti la loro capocchia ha un'alta concentrazione di potassio clorato e la striscia rosso mattone, soltamente ai lati lunghi della scatola, è composta da fosforo rosso (49,5%), solfuro di antimonio (27,6%), ossido ferrico calcinato (1,2%) e gomma arabica (21,7%). Questa miscela, spalmata a mo' di vernice sul cartoncino della confezione, risulta "non tossica", vista l'esigua quantità reperibile per ogni scatola.
La svolta nella preparazione degli zolfanelli però avviene nella Francia del 1898, quando Sévène e Cahen propongono una variante suggestiva. La miscela per la testa dello zolfanello, messa a punto da questi signori è ancora oggi impiegata, anche se con alcune modifiche della ricetta originale. Il principio è che il fiammifero venga sfregato su carta vetrata o su superficie comunque abrasiva, tale da generare calore per attrito. La reazione così viene innescata e il fiammifero si accende.
Cosa ci misero i due omini nella loro miscela?
Beh, prima di tutto eliminarono il fosforo bianco (odiatissimo) e lo sostituirono con un suo solfuro (P4S3) e poi introdussero ossido di zinco e polvere di vetro. La pasta veniva allestita stemperando in acqua della colla idrosolubile e poi unendo a uno a uno tutti i componenti, partendo dal clorato di potassio. Per 100 grammi di pasta si disponeva di 30 mL di acqua, in cui si discioglievano lentamente 10 g di colla idrosolubile e poi 20 g di clorato di potassio finemente macinato, poi 11 g di ossido ferrico, 7 g di ossido di zinco e 14 g di polvere di vetro finissima. Questa mescolanza diveniva via via sempre più viscosa e doveva essere resa il più possibile uniforme. Quando la massa appariva omogenea, si aggiungeva il solfuro di fosforo. La presenza dell'acqua serviva a garantire che la massa non si incendiasse durante il mescolamento. Chi ha provato a unire clorato potassico e un riducente in un mortaio, sa bene quanto sia poco gradevole l'effetto. L'idea di fare la pasta "umida", in questo senso, ha del geniale. Ottenuta la pasta, si ricopriva la punta di un bastoncino di legno (di betulla, o di pioppo) precedentemente paraffinato per immersione in paraffina fusa (eccetto che sulla punta) e si lasciava asciugare per qualche giorno. Per l'accensione a strofinio, eliminare tutta l'acqua risulta fondamentale, dato che a tutti è capitato di strofinare un fiammifero umido... con pessimi risultati.
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