LuiCap
2015-06-18 12:17
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Quando entrai nell'aula per frequentare il corso di chimica agraria avevo le idee ben chiare. Detta in breve dovevo rompere le scatole al professore.
E lo feci subito. Stavamo parlando della struttura dell'atomo e appena ne ebbi la possibilità, durante una pausa, tra la descrizione di un modello e un altro, chiesi al professore, un vecchio chimico, un po' ingobbito e con dei bellissimi capelli bianchi lucenti, se aveva senso un corso di chimica agraria, proprio oggi che la chimica sta inquinando gran parte delle risorse naturali.
Il professore di chimica oltre ai capelli bianchi e lucenti aveva una strana caratteristica, non guardava mai in direzione dei suoi studenti. Scriveva le formula alla lavagna e girava lo sguardo verso di noi di pochi gradi, quel tanto che bastava per far arrivare la sua voce. Non dovevamo guardare lui, ma la lavagna, il senso della postura era quello.
In quella strana posizione, senza cercare nemmeno chi avesse fatto la domanda rispose: NaCl, cloruro di sodio.
Se, disse, prendete il sodio puro e lo mettete nell'acqua causerete un'esplosione. Se inalate il cloro morirete. Se però il cloro si unisce con il sodio, si formerà cloruro di sodio, il normale sale da cucina. L'obiettivo di questo corso è fornirvi degli strumenti affinché possiate gestire due sostanze pericolose, come il sodio e il cloro, e trasformarle in sale da cucina. Altre domande?
Non ero mica soddisfatto, ma non avevo altre domande. Per il momento. A fine lezione, il professore disse ancora: meglio tenere le emozioni lontane da quest'aula. Nemmeno questa considerazione capii.
Tempo un paio di mesi, per l'esame, toccò a me rispondere a una domanda di chimica: produzione dell'acido solforico, H2SO4.
Mi doveva capitare proprio questo acido fastidioso, pericoloso, inquinante.
Naturalmente prima dell'esame ignoravo che l'acido solforico trovasse impiego nei fertilizzanti, per la composizione delle fibre sintetiche, nei detergenti che usavo e nelle pitture che talvolta usavamo per riverniciare i muri quando occupavamo una casa per farne un centro sociale.
Dunque: produzione di acido solforico, mi chiese il professore. La sostanza chimica più prodotta al mondo.
Prima di cominciare a rispondere, mi passò la vita davanti agli occhi, come se stessi per morire, io che giocavo con la plastica, mia madre che lavava per terra, mio nonno e mio padre che tutti contenti portavano barattoli di pittura. In realtà, quella che stava per morire era la mia idea di chimica.
Si parte dallo zolfo che viene poi fatto reagire con l'acqua. Si forma così il biossido (SO2). È il nostro primo problema, se si formasse subito il triossido ci avvicineremmo rapidamente alla soluzione, il triossido reagisce con l'acqua e dà l'acido, il gioco è fatto, l'esame è passato, andrei subito a prendermi un caffè, a sciacquarmi la faccia e le mani con un detergente all'acido solforico. Invece ero ancora lontano.
Dunque, per arrivare al triossido (SO3) dovevo riscaldare la miscela, biossido più aria, a circa 400°C e farla passare su un catalizzatore. Qui mi confusi (platino, vanadio?) e cos'è un catalizzatore? Mi chiese il professore e poi aggiunse: faccia un bel respiro, non si emozioni, tenga le emozioni lontane da quest'aula: avanti, rifletta, cos'è un catalizzatore?
Risposi a fatica... Una sostanza che accelera una reazione senza parteciparvi totalmente... e comunque, penna sul foglio, catalizzatore a parte, ancora non si vedeva questo benedetto triossido. La reazione non era finita, il sistema raggiunge l'equilibrio ma il biossido non si converte del tutto in triossido. C'è un residuo di biossido. Che ne fa? mi chiese il professore, con quei suoi capelli bianchissimi.
Non sapevo come proseguire.
Faccia finta, mi disse per aiutarmi, di avere un sistema industriale per la produzione di acido solforico, che ne fa, a questo punto della reazione, dell'eccesso di biossido? Lo butta nell'aria? Sì, no, non lo so, no, no. E perché? Perché poi a contatto con l'atmosfera, mi incitava il professore in questo benevolo tentativo di darmi il la, di catalizzare, per così dire, la reazione...
Non risposi. M'ero dimenticato tutto.
Me lo spiegò il professore che il biossido poteva incontrare qualche granello di pulviscolo che magari conteneva sostanze in grado di catalizzare la reazione a SO3. Qualora accadesse poi il triossido reagirebbe con l'acqua dando luogo a H2SO4. E dunque? mi chiese sempre per darmi il la.
E dunque non lo so, dissi io.
E quindi, disse il professore, se ne va a casa, perché se lei non conosce questa reazione poi può contribuire al fenomeno delle piogge acide. Non posso certo prendermi questa responsabilità.
Il premio Nobel per la chimica (1981) Roald Hoffmann sostiene che l'ignoranza della chimica costituisce una seria barriera per lo sviluppo democratico di una civiltà. Hoffmann insiste parecchio su un punto: la cosiddetta gente comune ha il dovere, sì, di essere informata correttamente su scelte che riguardano l'ingegneria genetica, il rischio e i benefici che alcune fabbriche possono, ad esempio, arrecare o offrire a una comunità, ma, di contro, la gente comune ha il dovere di studiare chimica abbastanza bene, affinché possa resistere sia alle rassicuranti seduzioni dei chimici esperti (quelli che secondo Hoffmann sono capaci di vendersi al miglior offerente), sia all'atteggiamento apocalittico dei letterati puri che, da veri presuntuosi, sono fermamente convinti di essere così fortunati da vedere la fine del mondo. È fondamentale, secondo Hoffmann, che la chimica si rivolga soprattutto agli studenti delle discipline umanistiche, ai cittadini informati, ai non professionisti: «Nuovi chimici, brillanti trasformatori di materia usciranno dai corsi di chimica. Essi però non saranno in grado di sfruttare appieno le loro potenzialità se noi non insegneremo a quel 99% di persone che non sono chimici, cosa fanno i chimici».
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tratto da Antonio Pascale, Scienza e sentimento, Einaudi, 2008
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