Menelik
2017-02-14 20:58
Questa è la prosecuzione del thread sulla leucite.
Come sono venuto in contatto con la leucite?
Un mio caro amico mi disse che girando qua e là per le macchie tra Orvieto e Bolsena in cerca di resti archeologici, si era imbattuto in una galleria che aveva tutta l'aria di essere una vecchia miniera.
Informandosi da anziani venne a sapere che nella zona c'erano due miniere in cui negli anni Trenta si estraeva un materiale che, dopo lavorazione, veniva inviato ad uno stabilimento di Civitavecchia.
Queste miniere hanno una storia, perché il titolare della concessione era Gian Alberto Blanc (1879-1966) chimico ed ingegnere, proprietario del brevetto per l'estrazione dell'allumina dalle leuciti mediante il procedimento che reca il suo nome (Processo Blanc), registrato nel 1924 e presentato alla Società Italiana di Chimica nello stesso anno, a Milano.
Su Wiki, alla voce Gian Alberto Blanc, c'è un errore grossolano: afferma che le leuciti venivano trattare con acido citrico per estrarne allumina.
Questo è assolutamente sbagliato, il processo Blanc utilizzava acido cloridrico ed anche molto concentrato, l'acido citrico è lontanissimo dall'avere la forza per idrolizzare la leucite.
Successivamente è stata introdotta una variante ad opera di Gino Gallo, chimico di San Pietro in Gù (Pd), docente all'Università di Pisa. Questa variante prevedeva acido solforico invece del cloridrico del processo originale Blanc, in modo da ottenere potassio solfato come sottoprodotto, da utilizzare come concime agricolo. L'impianto sperimentale fu realizzato a Castellina in Chianti (SI) sempre negli anni 30, mentre le leuciti delle miniere di Blanc venivano estratte in miniera nei pressi di Orvieto e lavorate a Civitavecchia.
Prima di descrivere il procedimento Blanc, rispolveriamo qualche nozioncina base della metallurgia dell'alluminio.
La fusione dell'alluminio non può essere fatta come gli altri metalli, ma consiste di due fasi: una chimica ed una elettrochimica.
Tutti vi ricorderete la parte elettrochimica, nelle celle di Hall-Heroult, dove criolite fusa (Na3AlF6) viene elettrolizzata con elettrodi di grafite. Il sistema consuma una botta di corrente.
Ma per alimentare la parte elettrochimica l'alluminio deve essere sotto forma di allumina, Al2O3.
L'allumina fonde a t altissime, mi pare sui 2000 °C.
Dunque bisognava ottenere allumina.
Tutti saprete che l'allumina viene estratta dalle bauxiti mediante un procedimento basico, con NaOH ed alte temperature e pressioni, chiamato Processo Bayer.
Dunque il materiale di partenza era la bauxite, una miscela di ossidi terrosi di cui l'alluminio è quello principale. Ma contiene anche ferro e titanio in proporzioni minori. Una elevata presenza di ferro rende l'estrazione più onerosa, dunque il ferro riduce il valore della bauxite.
Allora:
Bauxiti....metodo alcalino.....processo Bayer......estraente utilizzato: NaOH
Leuciti....metodo acido.........processo Blanc......estraente utilizzato: HCl.
Leuciti....metodo acido.........processo Blanc variante Gallo...estraente utilizzato: H2SO4.
Al mondo di bauxite ce n'è una quantità spropositata: può venire a mancare il petrolio, il carbone, il grano, ma non la bauxite.
Al momento sono stati accertati giacimenti sufficienti per almeno 3.000 anni al tasso attuale di utilizzo. Perché ricorrere alla leucite se vi è così tanta bauxite?
Bisogna contestualizzare la situazione italiana negli anni Trenta.
In Italia di bauxite ce n'è nel Salento e nell'Istria, ed in minor misura in Sardegna e in Abruzzo.
La domanda di alluminio nella società italiana tra le due guerre era crescente ed i giacimenti di bauxite erano insufficienti a produrre l'allumina richiesta, e a questo bisogna aggiungere anche l'effetto delle sanzioni della Società delle Nazioni (oggi si chiamerebbe ONU) per l'invasione dell'Etiopia.
Per far fronte alla carenza di materie prime il governo Mussolini attuò il programma di utilizzazione di materie prime nazionali, chiamato Autarchia.
L'industria mineraria e chimica del tempo trasse molto giovamento dall'autarchia, vanificando in gran parte le conseguenze negative auspicate dalla Società delle Nazioni.
La metallurgia dell'alluminio basata sulle leuciti ha delle caratteristiche differenti dalla stessa basata sulle bauxiti.
Vediamo di inquadrarne le differenze.
La bauxite è una miscela di ossidi a contenuto preponderante di ossido di alluminio.
La leucite è un silicato cristallino contenuto in rocce vulcaniche vetrose molto dure e resistenti.
La bauxite viene estratta in cave all'aperto creando delle depressioni morfologiche limitate inferiormente da un piano di argilla ferrosa la quale crea un invaso, a cava dismessa, riempito di acque torbide fortemente mineralizzate (“fanghi rossi”) con ovvi problemi ambientali, mentre la leucite si estraeva scavando gallerie minerarie per tutta l'estensione del giacimento; la bauxite la lavorano le ruspe, la leucite la dinamite ed il martello pneumatico.
Il processo industriale per ottenere l'allumina dalla leucite è fondamentalmente diverso da quello a partire dalla bauxite.
Molto si è scritto sulla lavorazione delle bauxiti con il procedimento basico Bayer, ma poco o nulla sul processo acido Blanc, di pertinenza oggi dell'archeologia industriale ed una pietra miliare nella storia della chimica italiana prima della II guerra mondiale.
Di fondamentale importanza è il testo con cui Blanc presentò al congresso nazionale di chimica industriale di Milano nel 1924, il suo progetto per l'estrazione dell'allumina dalla leucite, come già detto.
Blanc era il titolare della concessione per la coltivazione della leucite nelle miniere che abbiamo riscoperto, nei pressi di Orvieto.
Queste miniere furono attive fino all'entrata in guerra dell'Italia, ed il procedimento Blanc era visto con interesse anche da gruppi industriali stranieri. L'americana ALCOA (sono quelli di Portovesme, vi ricordate il 2012?) voleva acquisire le miniere di Blanc ad Orvieto nel 1932, ma poi non se ne fece nulla perchè la ditta non garantiva per gli strascichi della crisi del 29, e poi perchè la politica del governo Mussolini negli anni 30 guardava con una certa ostilità l'acquisizione di una materia prima nazionale da parte di un colosso industriale d'Oltreoceano.
Vediamo adesso i punti salienti del procedimento di estrazione dell'allumina dalle leuciti secondo il processo Blanc.
Per la ricostruzione mi sono basato sul testo originale del 1924, richiesto in fotocopia alla biblioteca dell'Università di Bologna, e ivi disponibile su richiesta.
Il titolo completo è:
BLANC GIAN ALBERTO, “L'utilizzazione integrale della leucite come fonte di allumina, potassa e silice”, Atti del Congresso Nazionale di Chimica Industriale, Milano, 13-18 aprile 1924.
Il grezzo di miniera, il cosidetto “tout venant”, costituito da cristalli di leucite alloggiati in una matrice rocciosa di tefrite a pasta semivetrosa, viene trasportato in un'area a circa 1 km dalle gallerie, dove viene trattato con rulli per ridurlo allo stato di brecciolino dello spessore di circa 1 mm. Si voleva ottenere un sabbione con clasti a spigoli vivi, e non una polvere fine per la ragione che spiegherò tra poco. Una granulometria del genere consente di separare fisicamente la leucite dalla roccia incassante, anche se è un miscuglio.
Questo sabbione veniva convogliato per gravità sulle tramogge, tuttora visibili nel piazzale di carico, ormai avvolte dalla vegetazione infestante.
Da qui veniva trasportato all'impianto di separazione magnetica.
La leucite non è sensibile al campo magnetico, ma la roccia che la accompagna lo è, dunque il grezzo di miniera sfranto, sottoposto all'azione di un campo magnetico, si separa in leucite, insensibile, dalla ganga (la roccia tefritica) che viene attratta dai magneti.
In questo modo si riusciva ad ottenere leucite con una purezza del 99%.
Il materiale rimanente è un inerte per leganti cementizi.
Io non so se la separazione magnetica venisse effettuata nei pressi dell'impianto minerario o altrove, fatto sta che la leucite in clasti di poco inferiori al mm, arrivava allo stabilimento Aurelia nei pressi di Civitavecchia.
Potete vedere quel che resta dello stabilimento, e delle foto storiche, in questo link:
http://digilander.libero.it/archeoind/aurelia.htm
Il sabbione grossolano di leucite viene immesso nel reattore dove viene fatto reagire con una soluzione concentrata di HCl, questo è il primo dei due trattamenti acidi.
Qui Blanc dovette superare il primo dei prblemi: la silice colloidale che non consentiva la separazione su filtro. Un colloide, infatti, non è separabile per filtrazione e men che meno per decantazione (l'anno scorso, al corso di Impianti 1, davo questo problemino: avete una dispersione acquosa in cui il diametro medio della fase dispersa è 10 alla meno 8 m. Applicando la legge di Stokes, determinate il tempo occorrente per la sedimentazione. Praticamente invecchiate aspettando che precipiti qualcosa).
Allora Blanc come bypassò il problema?
Quando la leucite è una polvere fine, nella soluzione acida si forma un sol di silice colloidale; lo ripeto: invecchiate aspettando che si formi un precipitato.
Quando, invece, la leucite è in clasti più grossolani, di poco meno di 1 mm, dopo trattamento acido conserva lo scheletro strutturale che forma un ammasso crescente nel fondo, il quale aumenta col riciclo della soluzione acida. Praticamente si forma un gel, un ammasso gelatinoso che ingloba silice mano a mano che viene attraversata dal riciclo acido.
Così abbiamo la sbobba di silice che resta in fondo per gravità, ed un surnatante acido dove sono disciolti gli ioni K + e Al3+.
Ecco, abbiamo la silice colloidale adsorbita su un idrogel di silice stessa: non è geniale?
Ecco perchè nella frantumazione non si voleva una polvere fine, ma quel che basta ad ottenere dei clasti a spigoli vivi in cui la tefrite e la leucite siano separati anche se in miscuglio.
Questo materiale è ancora oggi presente sotto la vegetazione di fianco al piazzale delle tramogge, ben visibile nella foto.
Sembra incredibile come dal 39, 40, non so, quel sabbione sia ancora lì. E' come fosse stato abbandonato e mai più rimosso. Chi vuole si riempe una sporta e se la porta a casa per ricordo, tanto ce n'è a metri cubi.
L'idrolisi della leucite è esotermica, dunque dal primo reattore esce una soluzione calda acida di ioni K e Al, mentre il gel di silice viene rimosso dal fondo separatamente. Separazione pulita.
Per raffreddamento di questa soluzione, precipita KCl e l'alluminio resta in soluzione col cloruro.
Questa soluzione residua viene immessa in un secondo reattore per un nuovo trattamento acido con HCl gassoso.
In questa fase l'acidità viene portata as far as it can go, cioè al massimo che può arrivare.
Siamo a valori sub-logaritmici, chiaramente.
Questo perché?
I cloruri di K e Al sono entrambi solubili in veicolo fortemente acido, ma non in egual misura: per valori di acidità molto spinti, l'alluminio precipita il suo cloruro, mentre il potassio resta disciolto.
Quello che discrimina il potassio è, invece, la temperatura: ad alta temperatura entrambi sono solubili, ma a temperature minori il potassio precipita il cloruro.
Allora: in mezzo acido Al e K sono entrambi solubili, ma Al è più solubile di K a caldo. In mezzo fortemente acido, K è più solubile di Al.
Bisogna entrare nell'ordine di idee che qui non stiamo parlando di equilibri di solubilità come i Kps, dunque la precipitazione non è selettiva come con i Kps, nella prima soluzione acida per raffreddamento precipita il grosso del KCl, ma ne resta ancora nella soluzione, e la quota residua viene rimossa come soluzione fortemente acida (la soluzione acida del primo reattore viene ulteriormente acidificata immettendo HCl gassoso) da cui si recupera per raffreddamento come nella prima soluzione.
Nel secondo reattore dunque precipita Al come cloruro (e la soluzione viene rimossa per recuperare KCl per raffreddamento ed il liquido acido viene riciclato nel primo reattore e ripristinato con HCl gassoso).
Il precipitato di alluminio cloruro viene immesso in un terzo reattore dove subisce un trattamento termico a 350 °C, che trasforma il cloruro in ossido, la nostra allumina. Il solito riciclo acido viene recuperato e inviato nel primo reattore, assieme a quello del recupero del potassio.
Così l'allumina è sufficientemente pura per essere inviata allo stabilimento elettrochimico per la via classica....criolite....riduzione in celle Hall-Heroult....il fuso viene raffreddato in lingotti.
Ecco, questo è il processo Blanc.
Oggi è pertinenza della storia della chimica industriale, e sia le miniere suganesi che abbiamo visitato, che lo stabilimento di Aurelia a Civitavecchia, sono pertinenza dell'archeologia industriale.
Questa era una pietra miliare della chimica industriale italiana tra le due guerre.
Mi pareva giusto dare un piccolo contributo alla conoscenza di questa cosa.
E Blanc che fine ha fatto?
E' vissuto fino al 66. Ma si era gradualmente staccato da tutto.
E' sopravvissuto a suo figlio, e si spense nell'amarezza di tanti scienziati e ricercatori che sono stati travolti da eventi infinitamente più grandi di loro.
Certe volte ci sono dei disegni che ci sembrano oscuri, ma che seguiamo senza averne consapevolezza.
Adesso mi sto chiedendo se noi abbiamo davvero “scoperto” le miniere di Blanc e la sua leucite, o se lui possa averci attirato lì dentro per farci “scoprire” le cose che ho descritto.
Magari, ci stava dirigendo nell'oscurità, chissà?
Foto 1 sin.: immagine aerea di una miniera a cielo aperto di bauxite nel Salento. La miniera è abbandonata e documenta bene cosa succede nello scavo abbandonato: un livello di argille impermeabili a pavimento genera un invaso di acqua. Sono visibili le scorie di ferro.
Foto 2 centrale: schema a blocchi del processo Blanc
Foto 3 e 4: foto dell'interno delle gallerie.
Volevo postare una foto del sabbione alle tramogge, ma supera i Mb, non ci sono riuscito. Pazienza.
I seguenti utenti ringraziano Menelik per questo messaggio: NaClO, TrevizeGolanCz, Claudio, arkypita, Adriano, zodd01, luigi_67