Vi racconto una storia, mettetevi comodi...
Le vacche che possono pascolare liberamente sui pascoli alpini, nutrendosi di foraggi freschi, producono un latte giallino, ricco in carotenoidi e altre molecole affini. Le vacche stipate in allevamenti posti in pianura, industrializzati e automatizzati, sono alimentate con foraggi secchi (pochi), con farine (vegetali e animali) e con mangimi. Il loro latte è bianco. Ora, la crema di latte, con cui si prepara il burro, discioglie parte del colore. Ne risulta che il burro delle vacche alpine è giallo, mentre quello della vacche di pianura è praticamente bianco. Considerato che il primo è provvisto di qualità organolettiche più pregiate del secondo, e valutato che il consumatore preferisce acquistare quello migliore, non resta che rendere gialla la varietà scadente.
La geniale operazione fu condotta per anni ricorrendo alla correzione cromatica della crema di latte con un colorante derivato dell’anilina (p-dimetilaminoazobenzene) denominato addirittura “giallo burro”. Visto il successo della trovata, fu colorato anche l’olio vegetale idrogenato per la produzione di margarina. Tutto andava a gonfie vele: le massaie erano felici e i produttori avevano i loro desiderati profitti. Forse qualche vacca è stata fatta scendere dai pascoli alpini, rinchiusa in un piccolo spazio e “allacciata” a una mungitrice automatica continua. Tralasciando l’ovvio, e che cioè, una vacca alpina “felice” produce in media 10-15 litri di latte al giorno, mentre una vacca “meccanizzata” (e opportunamente stimolata con ormoni) arriva a produrre anche 100 litri di algido latte, che poi i produttori versano sulle autostrade italiane in segno di protesta (vedi quote-latte)…, resta da raccontare la fine della storia, ma prima diremo due parole sulle galline.
Le galline ovaiole allevate in una gabbia angusta producono uova con un tuorlo giallino, mentre se le stesse galline vengono allevate all’aperto, libere di razzolare tra l’erba di un prato, producono uova con un tuorlo arancio intenso, a volte tendente al vermiglione. Dato che le nostre nonne sapevano bene questa differenza, l’industria delle uova pensò di alimentare le galline con mangimi arricchiti in carotenoidi. Almeno in parte la cosa funzionò. Però aumentarono i costi e non potendo colorare direttamente le uova, si colorarono i derivati e fu così che il giallo burro lo misero pure nella tagliatelle emiliane!
Ecco il seguito….
Dopo non pochi anni di allegre, quanto spregiudicate colorazioni, ci fu un improvviso cambio di rotta. Il giallo burro fu vietato negli USA sul finire degli anni Trenta e nel 1977 anche altri coloranti furono estromessi dalle liste dei coloranti ammessi. Nel 1977 il criterio di cancellazione fu determinato dall’evidenza scientifica che tali coloranti erano soggetti ad accumulo nei tessuti ricchi in lipidi (fegato e adipe). Furono condotti studi sui topi e sui ratti, ne risultò (con il tempo…) una concretissima sorpresa: i topini sviluppavano il cancro!
Furono eliminati quelli che danno accumulo lipidico, non già per la carcinogenesi, ma perché fu applicato un criterio di prudenza. A titolo informativo, nel burro erano impiegati anche aminoazotoluene e aminoazobenzene (giallo somalia 2G), noti da anni per il loro potere carcinogenetico. Chissà che fine hanno fatto le scorte strategiche di questi coloranti eliminati dall’impiego? Forse le industrie li hanno convertiti in pittura a olio…o forse no!
Veniamo ai giorni nostri…
La CE (oggi UE) emanò nel giugno 1994 una direttiva (n. 94/36/CE) che il nostro Paese recepì, con D.M. n. 109 del 27-02-1996, si stabilì l’elenco delle sostanze coloranti ammesse per uso alimentare.
Quelle norme, con piccole modifiche e integrazioni, sono attualmente in vigore.
Intanto gli studi di patologia andarono avanti e oggi possiamo affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che “gli azocomposti, contenenti nella loro molecola almeno un anello benzenico sono risultati cancerogeni” (Prof. M. U. Dianzani, 1990, Istituzioni di patologia generale).
In particolare è emerso che l’organo bersaglio di queste molecole è il fegato, dove si accumulano molte molecole tossiche, per essere eliminate. Gli animali da esperimento dimostrano non soltanto una predisposizione al tumore epatico (epatocarcinoma), ma una reale e statisticamente significativa percentuale di epatomi e colangiomi (o meglio, di epatocarcinomi e di colangiocarcinomi). I primi si sviluppano dalle cellule del parenchima epatico, mentre i secondi dalle cellule dei dotti biliari.
Addirittura sono state evidenziate attività di carcinogenesi in vitro, su colture cellulari di epatociti!
Altre sedi di lesione, secondarie per frequenza, sono la vescica e lo stomaco.
La fine della storia?
Nell’elenco dei coloranti ammessi ci sono 27 varietà di coloranti solubili (alcuni divisi in sottovarietà) e 7 insolubili o pigmentali. Di quei 27 almeno 8 sono azocomposti e uno (E151, nero brillante) è addirittura un diazocomposto (con due azogruppi), usato solo per colorare caramelle e dolciumi simili.
La direttiva 2002/61/CE del Parlamento Europeo nel luglio 2002, modifica (per la diciannovesima volta…) la direttiva 76/769/CE recante norme sull’immissione sul mercato e sull’uso di talune sostanze e preparati pericolosi (coloranti azoici). È troppo bellina per non farvela leggere:
"I coloranti azoici che, per scissione di uno o più gruppi azoici, possono rilasciare una o
più delle ammine aromatiche elencate nell'appendice, in concentrazioni individuabili,
cioè superiori a 30 ppm negli articoli finiti o nelle parti colorate degli stessi, secondo il
metodo di calcolo elaborato conformemente all'articolo 2bis della presente direttiva,
non devono essere usati in articoli tessili e in cuoio che potrebbero entrare in contatto
diretto e prolungato con la pelle o la cavità orale umana, ad esempio:
— abbigliamento, biancheria da letto, asciugamani, articoli per capelli, parrucche,
cappelli, pannolini ed altri articoli sanitari, sacchi a pelo,
— calzature, guanti, cinturini per orologi, borse, portamonete/portafogli, cartelle porta
documenti, coprisedie, borse portate attorno al collo,
— giocattoli tessili o in cuoio o rivestiti con tessili o cuoio,
— filati e tessuti destinati al consumatore finale."
Quindi, si limita l’uso (o lo si vieta totalmente) dei coloranti azoici su articoli che possano venire a contatto con la pelle, per scongiurarne l’assorbimento e contemporaneamente si consente che gli stessi coloranti azoici vengano tranquillamente inseriti in prodotti alimentari, perlopiù destinati ai bambini! Pensate solamente ai ghiaccioli fatti di acqua, zucchero, aromi (più o meno naturali) e coloranti (non uno, ma solitamente miscele di due o più!). E il motivo di questa idiozia è solamente la soddisfazione del consumatore! Allora la menta è incolore, ma deve essere verde (E102 + E131), il limone è incolore, ma lo vogliamo giallo (E102), l’arancio è incolore, ma è meglio se è arancione (E 110 + E122), o rosso (E129), l’anice è incolore, ma deve essere color “puffo” (E131), la fragola è incolore, ma la vogliamo rossa come il lampone (E122, E123, E124), il gusto cola sarebbe giallino, ma se non è marrone inquieta (E150, o peggio E102 + E131 + E122), e via di questo passo.
La morale? Eccola!
Vi spaventano i coloranti azoici? Non li comprate! Lasciateli negli scaffali, nei frigoriferi e nei congelatori dei negozi di alimentari, nelle gelaterie e nei bar.
Un’arma soltanto abbiamo: leggere l’etichetta! E se troviamo la sigla E seguita da un numero compreso tra 102 e 155 (esclusi i numeri 120, 140, 141, 153) lasciamo il prodotto lì dov’è!
Con il passare del tempo, quando gli industriali si accorgeranno delle vendite ridotte, troveranno “spontaneamente” la soluzione, magari sostituendo i coloranti artificiali con quelli naturali, meno brillanti e intensi , ma certamente non nocivi.
Una particolare menzione si deve fare per il caramello (E150) che non è lo zucchero bruciato (caramellato) che si può fare in casa (quello è tecnicamente un edulcorante, non un colorante), bensì un lavorato semisintetico, ottenuto mescolando zuccheri alimentari con ammoniaca (E150c), solfiti (E150b) o entrambi (E150d). Durante la produzione, specie di quello contenente ammoniaca si formano numerose sostanza dannose, ad azione antivitaminica (competitori della piridossina) come il 4-metilimidazolo, sostanza capace di indurre un netto decremento dei linfociti nell’uomo e quindi una depressione del sistema immunitario. Il caramello è usato soprattutto nei dolci e nelle bevande analcoliche al gusto di cola.